Così un estroso dentista ideò il museo
dei funghi di Pinerolo.
Nell'ambito del museo di scienze naturali, questa importante e curiosa
sezione micologica è sorta, quasi per caso, grazie alla collezione di
un personaggio insolito ed affascinante, l'odontoiatra veronese Mario
Strani.
Anni '70.
Mario aveva l’abitudine di soccorrere animali in difficoltà. Spesso
sono diventati domestici come in questo caso.
La sezione micologica accoglie specie diverse di funghi di resina
colorata provenienti dalla collezione del dottor Strani che l'ha donata
al Comune ed è stata sistemata in vetrine al primo ed al secondo piano
della prima sede del Museo di Scienze Naturali a Palazzo Vittone fino
al 2011 quando è stata trasferita nella sede di Villa Prever.
Funghi in museo? La notizia sa di paradosso. L'unica vetrina pubblica,
i funghi, l'hanno per solito nelle cronache gastronomiche, specie
d'autunno, quando si susseguono in tutta Italia le sagre intitolate a
queste bizzarre e profumate creature dei boschi destinate a vivere, una
volta asportate, un tempo brevissimo.
Da alcuni anni invece, Pinerolo, propone a tutte le stagioni
l'opportunità di un affascinante "incontro verde" con quelli che il
professor Arturo Ceruti, ex direttore del Centro di Micologia del Cnr,
definisce "vere opere d'arte e di verità": i modelli in resina,
riprodotti ma perfetti, di centinaia e centinaia di funghi italiani ed
esotici.
È una avventura in punta di piedi nelle sale di Palazzo Vittone. Qui, è
ambientata la sezione micologica a cui ha dato avvio la collezione del
dottor Mario Strani.
Esemplare di Coprinus micaceus della collezione Mario Strani.
Tratto da una cartolina realizzata negli anni '90.
Uno "strano" personaggio.
"Strani": questo cognome per così dire emblematico, appartiene ad uno
dei personaggi più popolari della città, un dentista veronese - il
dottor Mario Strani.
Durante la seconda Guerra Mondiale Strani si trapiantò ai piedi delle
Alpi Piemontesi, portandosi dietro - come fagotto delle cose più care
degli antichi emigranti - la sua raccolta di farfalle e la sua
irreprimibile vocazione di naturalista.
Esemplare di Nymphalis urticae preparato in resina con un metodo
inventato da Mario Strani.
Quell'hobby gli era nato dentro fin da quando, ragazzetto delle
elementari, aveva ricevuto in dono una "Cetonia luminosa" e si era
messo a coltivare bruchi sul davanzale della finestra di casa e a
modellare forme di pesce con il gesso (questi pesci ora sono nei musei
di Scienze Naturali a Verona e Malcesine).
All'amore per la natura lo stimolava un trattatello tascabile di
micologia edito nel 1920 trovato su una bancarella a Monaco di Baviera.
A Pinerolo quel volumetto illustrato da alcuni rozzi disegni di funghi,
cominciò a tenergli compagnia tra i ferri del mestiere.
La sua era quasi una voce di sfida: perché non provare a riprodurre
quelle forme labili e piatte facendo loro l'impronta dal vivo, come si
fa per i denti, e usando la stessa resistente resina acrilica?
Ed ecco le mani esperte dell'odontoiatra dar vita a piccole, perfette
sculture. Il procedimento è complicato. Ci vuole anzitutto l'originale,
anzi due originali identici; il fungo viene, immerso nella cera fluida
da cui viene poi tolto quando la cera si è solidificata. La cavità
viene riempita di resina, la cera sciolta e, come per magia, compare il
fungo.
Pennelli, colori e gli occhi fissi sull'altro fungo originale: a poco a
poco la resina bianca si anima e il fungo, millimetro per millimetro,
rivive in ogni sfumatura di tinte, in ogni macchiolina, in ogni
ammaccatura. Alla fine è tanto preciso al modello che non lo si
distinguerebbe se non perché è privo di profumo.
Nel museo, come dice la piccola guida "Pinerolo - musei e collezioni"
edita dalla Città - Assessorato alla Cultura -, e che li introduce
anche allo studio di quella parte della botanica che è la
micologia, i funghi raccontano la storia nel Piemonte,
nell'affascinante chiave dei suoi boschi generosi di ombra e di piante
dove, tra le erbe e le foglie cadute, si nascondono come in uno scrigno
i preziosi frutti amati dai buongustai e dagli scienziati, ma anche dai
letterati e dai pittori che ne ritraggono ispirazione e suggerimenti
per fantasie cromatiche. Una storia che rivela uno degli aspetti
"magici" e tuttora misteriosi della nostra terra. Ma nelle decine di
vetrine allineate non ci sono solo funghi nostrani. Passando gli anni,
il dottor Strani compì anche numerosi viaggi in terre lontane, Africa,
Ecuador, Nuova Guinea, Australia, Giappone, Sud America, ritornandone
con bottini preziosi che gli hanno permesso di arricchire la collezione
di pezzi sempre più rari.
E presto la sua fama stimolò e mobilitò ricercatori in tutto quel
piccolo mondo vivace ed avventuroso che sono i micologi, i quali oggi
si fanno un impegno di "eternare" a Pinerolo le loro scoperte.
Scambi di materiale scientifico hanno poi fatto sì che oggi non vi sia
gruppo micologico piemontese che non abbia un fungo firmato Strani e
legato al nome di Pinerolo. Gli esemplari pinerolesi sono ormai più di
2000: un panorama vastissimo che presenta tutti assieme, divisi per
classi e famiglie, funghi di ogni specie cresciuti in ogni stagione e a
tutte le latitudini.
Chi visita il museo non può sottrarsi alla suggestione di compiere un
viaggio emozionante, diventando egli stesso personaggio di una favola
popolata di piccoli mostri. Molti sono resi anche più interessanti
dalla documentazione sulla difficile ricerca di cui sono l'esito e
dalla descrizione delle loro qualità e dell'eventuale nocività.
Visione d'insieme di una delle sale di Palazzo Vittone che hanno
ospitato la collezione micologica fino al 2011.
Ecco i velenosi: la terribile "Claviceps purpurea" che cresce dentro la
spiga della segale e che, dal medioevo sino alle soglie del Ventesimo
secolo, sterminò interi villaggi scambiata per malattia epidemica: il
"rafanismo", il "male degli ardenti" o il "fuoco dei Solognesi", dalla
città francese di Sologne dove uccise 20.000 abitanti; il Carbone del
granoturco che mieté vittime tra le popolazioni americane che facevano
largo uso di mais per focaccette; l'Amanita phalloides (rappresentata
da diversi esemplari in diversi stadi di crescita) che causò la morte
dell'imperatore Claudio.
Dietro i vetri sono in bella vista i notissimi Champignons di Parigi,
cosiddetti perché Parigi per prima li coltivò nelle cave abbandonate.
Poco più in là le Lepiote che crescono nella segatura; le "Russule"
dagli smaglianti colori; il "Lactarius" tanto bianco da essere chiamato
dai francesi vachette, piccola mucca; la "Collibya" dal piede di
velluto che cresce d'inverno sulle vecchie ceppaie; il "Marasmius"
gambe secche, cosiddetto per il tenace esile gambo che nei prati forma
i cerchi delle streghe. E, naturalmente, i più allettanti per i
ricercatori dilettanti che nel fungo più della bellezza apprezzano il
sapore, i "Boleti" nelle loro innumerevoli varietà.
Non vi è dubbio che una visita accurata a questa "singolare" raccolta -
unica in Italia - appare proficua non meno di una lezione di botanica,
tanto che il museo stesso può a ragione essere considerato una delle
più interessanti tessere nel variegato mosaico culturale del Piemonte.
Opere.
Il lavoro di Mario Strani è spesso diventato un riferimento per gli
esperti del settore.
Eccone un esempio. Nel 1965 il Manuale Hoepli “Il Naturalista” di
Pietro Zángeri lo cita riferendosi alla sua tecnica di preparazione dei
pesci.
94. - La maggior parte dei pesci
si conserva in liquidi. Si lavano accuratamente in acqua pura, alla
quale si aggiunge un poco di allume, specialmente quando si tratta di
specie con la pelle coperta di muco; quelli piccoli non hanno bisogno
di alcun'altra operazione, ma i più grossi (dai 15-20 cm in su) devono
subire un taglio longitudinale nel ventre, ed i più grossi ancora, un
taglio simile nel dorso e presso la coda per permettere al liquido
conservatore di penetrare; con questo liquido verranno anche praticate
delle iniezioni nei punti più carnosi. Quindi si passano per qualche
giorno in una soluzione (soluzione fissatrice) di formalina 2 o 3% e
(dopo un buon lavaggio in acqua corrente) in alcool a circa 65° (col
quale si praticano pure le iniezioni ricordate qui sopra), che dovrà
essere cambiato alcune volte (1) prima di chiudere il vaso.
Si può anche usare, e sembra dia effettivamente degli ottimi risultati,
«il liquido di Fabre-Domergue». Questo lo si usa prima in soluzione al
25%, poi al 50%, poi al 75% (sempre in acqua) e nelle successive
soluzioni si lasciano i pesci per periodi di 12 a 24 ore. Infine si fa
la immersione nel liquido puro, dove i pesci si conservano. Il tempo di
immersione nelle soluzioni allungate deve essere più lungo per le
specie molli e retrattili. Con le specie più consistenti si può
arrivare più rapidamente alla immersione nel liquido puro.
Si possono anche conservare definitivamente in formalina 3 o 4% oppure
nel « liquido di Mourgue », che avrebbe il vantaggio di mantenere
meglio i colori. Prima di porre gli esemplari nei recipienti di vetro,
si unisce un'etichetta di carta pergamena alla pinna sinistra a mezzo
di un filo di seta e vi si scrivono i diversi dati oppure il solo
numero d'ordine con inchiostro di China come ho già detto per i
rettili; e così si procede anche per quanto riguarda l'etichettatura,
sia sui supporti, sia all'esterno dei vasi.
Gridelli consiglia qualche variante. Dopo avere praticato i tagli —
come sopra indicato — usa una soluzione di formalina un po' forte (5%)
per fare iniezioni in tutte le parti del corpo. Immerge poi l'esemplare
in soluzione di formalina al 3% per 24 ore, e quindi in alcool a 70°.
Propone pure un altro procedimento: dopo avere praticato le iniezioni,
consiglia di mettere l'esemplare in soluzione di formalina 5% con le
pinne distese, e di lasciarvelo il solo tempo necessario perché si
induriscano i tegumenti delle pinne. La conservazione viene poi fatta
in soluzione di glicerina ed acqua (parti uguali) con qualche goccia di
formalina. I colori così si conservano bene, ed ancora meglio se,
invece della formalina al 5% si usa l'alcool etilico per fissare e non
si aggiungono le gocce di formalina alla soluzione di glicerina. Però
la glicerina ha il difetto di produrre una piccola contrazione delle
parti molli degli esemplari. Infine ricorderò che rotarides consiglia
la fissazione dei pesci in formalina 4% (per pochi giorni), poi la
conservazione nella soluzione composta di parti eguali (in volume) di
acqua, glicerina e alcool a 96°.
Sono stati anche proposti metodi di preparazione dei pesci (e non
soltanto di pesci) a mezzo della paraffina dopo bagni di
alcool-formalina ecc. Si tratta di sistemi non molto semplici e si
rimanda chi volesse prenderne cognizione al manuale di stehli (Sammeln
una Praparieren von Tieren, vedi Bibliografia).
Oggi si usa anche modellare i pesci: il Dott. Mario Strani di
Pinerolo, che si è particolarmente dedicato a questo lavoro, usa per
fare le forme la cera o la paraffina. Si traggono poi da tali forme i
modelli in adatti materiali plastici, quali le resine acriliche
adoperate in odontoiatria, che permettono la finissima riproduzione fin
delle squame, pinne ecc. Occorre certamente acquistare una pratica non
comune, anche per le successive colorazioni; ma i risultati appaiono
ottimi come si può vedere nei Musei di Verona e di Malcesine sul Carda,
sebbene lo Strani non
consideri definitivi i risultati finora ottenuti e si proponga
ulteriori perfezionamenti.
II Dott. Strani ha inoltre
proposto l'impiego di altre tecniche e da i seguenti consigli pei
quali, io e i lettori, dobbiamo essergli grati. Se il pesce è
pianeggiante e non vi sono parti rientranti, la forma (necessaria per
ottenere il modello che dovrà essere la riproduzione fedele
dell'originale) può essere eseguita col gesso alabastraio (gesso per
figurinai, scagliola fine), che si usa mescolando una parte di gesso
con due di acqua. Per eseguire la forma di scagliola si tenga presente
quanto è detto alla nota i al § 34. Se ci si accontenta di riprodurre
una sola metà longitudinale del pesce (e in molti casi può bastare) la
cosa è più semplice. Comunque, prima di usare la forma per il getto
bisogna verniciarla con gommalacca sciolta in alcool e poi, al momento
del getto, si passa sulla gommalacca una vernice fatta con lanolina
sciolta nel petrolio. Così si sarà sicuri che il getto si stacca
facilmente.
Modelli di pesci realizzati da Mario Strani esposti al Museo di Verona
nel 1997. In basso si vedono i tradizionali esemplari conservati in
formalina o altri liquidi.
Quando l'oggetto (il pesce od altro) presenta delle rientranze e tanto
più se si farà il modello di una sola metà longitudinale, sarà
ugualmente facile usare la scagliola quando l'oggetto da riprodurre non
è rigido sicché potrà uscire con qualche facile manovra dalla forma. Se
ci basta ottenere un solo modello converrà rompere la forma con qualche
cauto colpo di martello; oppure si potrà adoperare il gesso "xantano"
(2) (generalmente colorato in rosa) di pronta presa, che si scioglie
nell'acqua, e così si potrà agevolmente liberare il modello il quale,
se è fatto con scagliola, non si scioglie. Però per fare i modelli è
preferibile alla scagliola il cosiddetto gesso duro, che è in commercio
(generalmente colorato in giallo o azzurro) sotto i nome di Moldano,
Yellow Stone, Albastone.
Quando l'oggetto da riprodurre ha numerose rientranze ed anfratti è
però consigliabile fare la forma con l'ittiocolla. Il procedimento è
meno facile e il consiglio è di operare in questo modo. Si abbia, per
esempio, da riprodurreun pesce dalle forme un po' complicate; lo si
ricopre di uno strato di creta da modellare alto 203 centimetri, e poi
si pone questo pesce coperto di creta su un piano di marmo o di vetro e
sopra si versa scagliola liquida che verrà trattenuta tutt'attorno da
un telaio di legno o di metallo: si ottiene una forma di scagliola che
è quella del pesce coperto di creta. Si pulisce il pesce dalla creta
che lo ricopre, si torna a porlo sul piano di marmo o di vetro e poi lo
si copre con la forma di scagliola, usandola alla guisa di un piatto
capovolto; prima però si deve praticare sulla forma un foro abbastanza
grande al centro e alcuni piccoli ai lati. Quindi si versa attraverso
al foro centrale la ittiocolla semiliquida (vicina al raffreddamento)
fino a riempire tutto il vano già occupato dalla creta. I fori laterali
servono per fare uscire l'aria e si chiudono con stucco appena esce
l'ittiocolla. Si attende che l'ittiocolla sia raffreddata, si estrae il
pesce, si indurisce l'ittiocolla bagnandola con allume, indi si unge
con lanolina sciolta nel petrolio. Poi si fa il getto; la forma di
ittiocolla, finché rimane allo stato gelatinoso, mantiene una notevole
elasticità e permette l'estrazione di copie in gesso senza deformarsi o
rompersi. Si possono fare varie copie, però sollecitamente perché
l'ittiocolla tende poi a seccare e a irrigidirsi, diventando
inservibile.
Per fare i modelli di piccoli oggetti si potranno adoperare, invece
della scagliola, gli "Alginati" di uso odontotecnico, che riproducono i
particolari con precisione estrema; sono polveri bianche o rosa che si
impastano con acqua fino alla densità di una poltiglia cremosa; in meno
di un minuto e fino a 2-3 minuti (a seconda della temperatura) si
trasformano in una massa elastica un po' più dura della colla di pesce
allo stato di gelatina. Con tale materiale, se si usa la scagliola per
fare le forme, non vi è neppure bisogno di verniciature con gommalacca,
lanolina ecc. Per fare forme si usano anche altri prodotti per
dentisti, quali i "Sileni", i quali hanno un costo più elevato, ma si
prestano molto bene per piccoli oggetti, da riprodurre con estrema
precisione. Degli animali riprodotti si possono poi conservare a parte,
a secco o in alcool a seconda del materiale, gli organi su cui si basa
essenzialmente lo studio e la classificazione (v. anche tortonese).
(1)Tale alcool torbido non si getta via, ma si ritorna a distillare e
diverrà di nuovo limpido ed incolore (v. nota i
al § 84).
(2) Questo prodotto e gli altri menzionati in seguito, usati in
odontoiatria, si trovano presso i depositi di materiale per dentisti,
per es. presso la : Dentai Univers, Via S. Silverio ai, Roma.