Dell'opera
di Mario Strani fa parte una imponente collezione di plastici
geologici. Il museo di Scienze Naturali di Verona ne ospita la massima
parte ma se ne trova un buon numero in quello di Pinerolo. Spesso
visitando altri musei succede di imbattersi in plastici a firma di
Mario Strani da lui donati a chissà chi e chissà quando.
È un fatto normale, la sua passione per le scienze combinata con la sua
generosità lo portavano a distribuire il risultato delle sue fatiche in
modo molto disinvolto e spesso senza ottenerne in cambio una
riconoscenza adeguata.
L'ultima realizzazione risale agli ultimi anni '80 e rappresenta la
Rocca di Cavour (TO) e si trova presso il museo di Pinerolo.
La tecnica.
Nell'era informatica potremmo dire che Mario Strani non faceva altro
che comportarsi come una stampante 3D ante litteram realizzando, uno
strato dopo l'altro, i vari piani altimetrici fino a quando arrivava
alla massima altitudine rappresentata.
La tecnica di base è semplice.
Si parte da una mappa che riporti le curve di livello o isoipse.
Ci si procura un materiale (cartone, compensato o altro) con uno
spessore corretto rispetto al dislivello rappresentato dalle isoipse.
Si riporta su ogni foglio di materiale una sola isoipsa e si ritaglia
la forma risultante.
Si incollano le forme ottenute in successione come nella mappa
originale ottenendo la mappa a tre dimensioni che conosciamo come
“plastico”.

Mappa IGM al 25.000 di San Germano Chisone “maltrattata” da Mario
Strani per poterla comodamente ricalcare per fare un plastico. Nel
riquadro ingrandito sono meglio visibili le isoipse che sono state
ricalcate e che in prossimità delle vette assumono la forma
caratteristica di curve chiuse.
Questo metodo è piuttosto impreciso perché è difficile collocare con
precisione i vari strati. Inoltre lo spessore della colla, non
perfettamente costante, moltiplicato per decine di strati può generare
distorsioni significative.
Inoltre, l'acqua contenuta nella colla determina deformazioni del
cartone che alterano la forma. Mario strani aveva trovato il modo di
aggirare il problema utilizzando come colla il “tenaccio” [la colla che
si usa per riparare le camere d'aria delle biciclette] che, non
contenendo acqua, evitava il problema.

Ecco come si presenta un plastico durante la lavorazione. Gli strati
sono già stati incollati insieme ma mancano ancora la finitura e la
colorazione.
Realizzazione di Paolo Jannin.
Mario Strani si è ingegnato per migliorarlo arrivando ai livelli di
perfezione che possiamo ammirare nelle sue opere.
Ecco come faceva.
Realizzava lastre di gesso tenero di 20 mm di spessore. Per ottenere la
massima precisione si era fatto preparare da un marmista delle spesse
lastre di marmo di dimensioni un po' maggiori di quelle di un foglio di
mappa IGM e una serie di parallelepipedi di 20mm esatti che usava come
distanziali.
Pizzicava i distanziali fra le lastre e le serrava saldamente con dei
morsetti per poi colare il gesso liquido fra le due.
La struttura dello stampo era talmente rigida da garantire che lo
spessore della lastra di gesso finita fosse precisissimo nonostante le
deformazioni che avvengono naturalmente durante la solidificazione e
l'asciugatura.
Ciò fatto, disponeva sulla lastra un foglio di carta copiativa e sopra
di esso la mappa. Quindi ricalcava a mano le isoipse che lo spessore
della lastra consentiva.
Dopodiché con una fresatrice di sua concezione e realizzata da un amico
fabbro cominciava a fresare sull'isoipsa più esterna asportando tutto
il materiale fino quasi al fondo lastra lasciando solo lo spessore
relativo alla prima isoipsa.
Poi arretrava progressivamente verso l'interno e verso l'alto fino a
completare tutte le curve ricalcate.
Il risultato era un certo numero di lastre fresate ognuna delle quali
rappresentava un certo dislivello. Una sorta di panorama “a fette”
orizzontali.
Il tutto veniva montato con la stessa tecnica descritta prima ma con
risultati molto migliori.
Restava il problema che per poter lavorare occorreva usare gesso molto
tenero soggetto a facili rotture. In effetti un plastico nuovo
presentava normalmente una grande quantità di riparazioni.
A questo punto occorreva farne una copia in materiale moto più
resistente.
Il plastico originale “tenero” veniva dipinto di materiali che
impedivano l'adesione del gesso. Poi venivano fatti dei bordi in legno
molto resistente e fra di essi venivano disposte fasce fatte in spessa
juta lasciata blanda in modo che cadesse fino in prossimità della
superficie del plastico.
Seguiva una colata in gesso molto resistente che copriva tutto il
plastico annegando la juta che assumeva una funzione di armatura
riducendo la fragilità della struttura.
Indurito il gesso il plastico originale realizzato con tanto tempo e
fatica veniva fatto a pezzi e tolto dal “negativo” che era stato fatto.
Seguiva una procedura uguale e contraria per estrarre un nuovo
“positivo” questa volta molto resistente.
La procedura, apparentemente tortuosa, era necessaria per consentire di
lavorare su materiali teneri e quindi facili da lavorare permettendo
poi di fare più copie dello stesso plastico senza ripeterne nuovamente
l'immane opera.

Plastico finito.
Gruppo del Monviso. Museo Mario Strani. Pinerolo 2007.
Il positivo si presentava quindi finito mostrando in maniera evidente
le isoipse.

Evidenti isoipse in un particolare di un plastico.
Museo Mario Strani. Pinerolo 2007.
Se la finalità del plastico era di tipo strettamente geologico si
lasciava così e si passava alla colorazione.
Se lo scopo del plastico era dare un effetto realistico, allora
occorreva armarsi di stucco e di pazienza e “stuccare” le isoipse fino
ad ottenere versanti delle montagne lisci e simili alla realtà.
Per poi passare anche in questo caso alla colorazione.
L'ultima operazione era la colorazione.
Tolto il plastico dallo stampo si eseguivano le eventuali riparazioni
necessarie. Occorre tenere presente che l'operazione di distacco del
plastico dal negativo è difficile e resa rischiosa dalla fragilità del
gesso. Per cui era abbastanza normale intervenire con riparazioni sui
plastici nuovi.
La colorazione si eseguiva a pennello e si poteva fare con qualsiasi
tipo di colore previa la pittura dell'intero plastico con un vernice
tura pori.
Si potevano fare due scelte fondamentali: la colorazione panoramica o
quella geologica.
Quella panoramica è finalizzata a riprodurre i colori naturali del
luogo dando, per quanto possibile, l'idea del panorama che
effettivamente si vende nella realtà.
Quella geologica utilizza gli stessi colori delle carte geologiche che
sono finalizzati a distinguere le caratteristiche geologiche del suolo.

Colorazione panoramica.
Gruppo del Monte Bianco. Museo Mario Strani. Pinerolo 2007.

Colorazione geologica.
Valle di Susa. Museo Mario Strani. Pinerolo 2007.
Negli anni '80 nei sotterranei di Palazzo Vittone a Pinerolo Mario
Strani, Massimo Martelli e Luigi realizzavano gli ultimi due “positivi”
estraendoli da negativi arrivati da Verona.
Qualche tempo dopo Mario Strani realizzava ancora un plastico della
Rocca di Cavour (TO) con la tecnica dei cartoncini sovrapposti.
Sarebbe stata la sua ultima opera in campo geologico.
Ma la produzione scientifica sarebbe ancora continuata a lungo negli
altri ambiti.
Nell'autunno 2013 l'Istituto Geografico Militare di Firenze,
organizzando un convengo sul tema “La rappresentazione plastica del
territorio fra Ottocento e Novecento” chiedeva la collaborazione del
Museo di Verona che ha una sezione di plastici molto estesa. È stata
l'occasione per approfondire l'argomento e rinverdire la collaborazione
fra il museo di Verona – città natale di Mario Strani – e quello di
Pinerolo, sua città di adozione.
Unendo gli sforzi è stato possibile ricostruire come venivano fatti i
plastici organizzare le informazione frammentarie che c'erano
sull'argomento.

Dépliant del convegno “La rappresentazione plastica del territorio fra
Ottocento e Novecento”.
29 novembre 2013.
Istituto Geografico Militare
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Ecco il filmato che il Museo di Verona
ha presentato al convegno.