Ogni
volta che viene fatto un referendum si scatena ogni storta di dibattito
su ogni singolo dettaglio dell'argomento del giorno. E si dà sempre per
scontato che l'esito del referendum abbia senso e debba essere
rispettato.
Questa logica apparentemente ferrea si fonda su alcuni concetti,
solitamente non dichiarati, che sono:
- Qualsiasi scelta va bene;
- Il cittadino gode del libero arbitrio;
- Delle questioni in essere tutti hanno a disposizione le stesse
informazioni;
- Il significato del Si e del No. La risposta che viene data ha lo
stesso significato per tutti;
- La rappresentatività statistica del voto. Il voto rappresenta
correttamente il volere dell'intera popolazione.
Ma pensandoci bene potrebbe sorgere qualche osservazione:
- Che durata ha la decisione presa?
- Chi vince, vince?
- Quanti lo chiedono. Chi va a votare?
- Se il referendum servisse per sapere cosa vuole la gente...
Ergo?
Si tratta di "piccoli" postulati che forse sarebbe ora di analizzare.
Ormai da troppo tempo si prendono “non decisioni” che ci inguaiano per
decenni e non ci sforziamo di cercare la causa ultima del problema. Dal
referendum italiano sul nucleare dietro al quale non c'erano soluzioni
diverse per produrre energia al recente Brexit i cui fautori non si
erano chiesti cosa avrebbero fatto in caso di vittoria, la storia
recente è costellata di guai colossali causati da un modo di prendere
decisioni che si postula essere sommamente democratico. Ma lo sarà?
Qualsiasi cosa va bene.
Presupposto non dichiarato di tutti i sistemi elettorali è che
qualsiasi cosa si faccia, va sempre bene. Si presentano tanti
partiti con idee diverse, voti quello che ti pare. Quello che fa va
bene perché siamo in democrazia e ha vinto le elezioni.
Mi vien da pormi una domanda. Come mai quando abbiamo mal di denti non
convochiamo elezioni democratiche nella quali tutti i cittadini possono
essere eletti e diventare dentisti? Non è che l'oggettività, magri,
valga qualcosa?
Se all'epoca di Galileo si fosse fatto un referendum sulla forma della
terra, avrebbe senz'altro vinto la “il sole che gira intorno alla terra”. Ciò non di meno
la terra avrebbe continuato a girare attorno al sole. E su questo concetto le previsioni del tempo non
sarebbero state inventate, idem il GPS, idem i satelliti per
telecomunicazioni e poi ancora.
Occorre affrontare la dura realtà. Non è tutto così semplice da essere risolto con crocette su Si & No. Perché
un'idea funzioni occorre che sia oggettivamente corretta. Non serve crederci. Per un
secolo si sono fatti “investimenti per il futuro” e adesso siamo
sommersi di debiti e istituzioni a catafascio. Non era deprecabile
l'ambizione, ma era tecnicamente e oggettivamente sbagliato quello che
si faceva. Ed era sbagliato perché si perseguiva un'ideale invece che
sforzarsi di capire la realtà.
I secoli passano ma il sole continua a girare attorno alla terra nonostante il disaccordo degli astronomi.
Il cittadino gode del libero arbitrio.
Chi ha colpa del suo mal, pianga se stesso! Un proverbio che sintetizza
mirabilmente il concetto che una persona subisce le conseguenze
delle sue scelte. Per la verità potrebbe goderne anche dei benefici, ma
il proverbio non lo segnala.
È una cosa chiara e limpida. Talmente chiara e limpida che non occorre
parlarne. Talmente universale che tutti i sistemi legislativi del mondo
sono fondati su due concetti di base: tutte le persone di normale
intelligenza hanno la stessa comprensione delle cose (solitamente è
definita di normale intelligenza una persona con QI > 70); ogni
persona può scegliere liberamente come comportarsi.
È un po' come quando "il sole girava attorno alla terra”. Talmente chiaro che non
valeva la pena studiare l'argomento.
Ma forse sarebbe bene “scaricare qualche aggiornamento” nel bagaglio di
conoscenze di uso quotidiano per scoprire che le neuroscienze
nell'ultimo decennio hanno fatto passi da gigante. Mirabili le opere
divulgative di David Eagleman su questo. È interessante – se non
sconvolgente – scoprire come i comportamenti umani sono quasi tutti
automatici e l'idea di avere in mano il controllo delle nostre azioni è
solo illusoria. Fondamentali le conclusioni: non è al momento certo se
il libero arbitrio esista oppure no. Ma se esiste ha certamente un
ruolo talmente marginale che è difficile identificarlo a livello
sperimentale.
Su queste basi ci viene chiesto di
fare delle scelte. Come non bastasse che hanno effetti sugli altri e
sul futuro.
Delle questioni in essere tutti hanno a disposizione le stesse
informazioni.
Dato che la comunicazione è uguale per tutti, tutti sanno le stesse
cose. Mmmhhh...
Chissà come mai succede di non capirsi?
Solitamente si considera che non più del 20% delle persone associa ad
una parola lo stesso significato. Arrivederci quanto sono frasi intere.
Peggio che andar di notte con concetti complessi. Gli esperimenti di
neuroscienze ormai hanno evidenziato con dovizia di particolari che
tante persone che guardano lo stesso quadro vedono cose completamente
diverse; tante persone che ascoltano lo stesso discorso sentono cose
completamente diverse... La realtà nella quale ognuno vive è virtuale
ed è creata dal cervello in base a un'infinità di fattori tra i quali
quello che veramente succede nel mondo ha un ruolo che non è
necessariamente quello di protagonista.
La scienza esplora l'enorme complessità della natura. Il cervello umano
è il più complicato oggetto singolo oggi conosciuto nell'universo! E la
politica semplifica tutto a Si/No.
Quando cesseremo di illuderci che sia tutto semplice? Tutto facile? La
realtà è complessa e, al contrario di quel che pensiamo, non abbiamo strumenti per
percepirla. Il nostro cervello viaggia per i fatti suoi e noi abbiamo
enormi difficoltà a imbrigliarlo e costringerlo a vedere l'oggettività
e smontarla in concetti utili per stare meglio.
Per andare avanti abbiamo bisogno di scelte guidate dalla conoscenza;
non dalle crocette.
Il significato del Si e del No.
“Si” e “No” sono le risposte chiare per antonomasia. Fin da bambini ci
siamo sentiti dire in mille circostanze “o è Si o è No”.
Tralasciando il piccolo particolare che ci sarebbero mille gradazioni
fra i due, diamo per buono il concetto che queste due risposte
risolvano la questione e vediamo cosa vogliono dire con un
esempio storico.
Negli anni '70 la comunità internazionale si è seduta attorno ad un
tavolo per decidere se adottare il Sistema Internazionale di unità di
misura che avrebbe risolto una lunga serie di problemi di uso delle
vecchie unità ed avuto il merito di essere uguale per tutti. Una serie
di paesi fra cui l'Italia ha aderito esprimendo dunque un chiaro “Si”
mentre altri paesi, principalmente dell'area anglosassone, non hanno
aderito dicendo quindi “No”.
Il bello di disporre di un fatto ormai vecchio di qualche decennio è
che consente di vedere cosa è effettivamente successo in pratica.
Italia del “Si”.
Nessuna unità di misura è stata cambiata. Avete mai visto un termometro
in Kelvin, un tachimetro in Metri al Secondo, l'energia venduta al
Joule on un peso espresso in Newton?
Paesi del “No”.
Molte unità di misura SI sono diventate “de facto” di uso diffuso.
Ormai è prassi che tutta la documentazione di ogni genere e natura sia
con doppie unità, locali e internazionali, e sapendo di non aver
aderito si accertano che tutti sappiano usarlo in modo da poter
comunicare efficacemente a livello internazionale.
Ecco che il “Si” italiano rappresentava la messa in sequenza della
lettera “s” e della lettera “i”, non la volontà di cambiare e
aggiornarsi. Nessuna azione significativa è stata fatta per cambiare il
sistema nell'uso legislativo, nella scuola né nelle comunicazioni.
Viceversa il “No” anglosassone esprimeva una qualche forma di ostilità
o impossibilità ad aderire corredata della presa di coscienza che,
facendolo gli altri, comunque sarebbe stato necessario aggiornare il
modo di operare, cosa che hanno effettivamente fatto.
A me sembra tanto il il No anglosassone somigli a un Si molto più del
Si italiano che in pratica è stato un No.
Cosa viene chiesto da un referendum? Di votare “Si” oppure “No”. Anche
coloro che votano allo stesso modo hanno di fatto in mente una varietà
enorme di concetti radicalmente diversi tra loro.
La rappresentatività statistica del
voto.
Se la democrazia consiste nel prendere decisioni in nome e per conto, e
nell'interesse dell'intera popolazione, allora il referendum deve
produrre un risultato che sia effettivamente rappresentativo della
volontà della popolazione.
Un fenomeno che si verifica ormai comunemente è: 1/3 della popolazione
non va a votare; 1/3 della popolazione vota “Si”; 1/3 della popolazione
vota “No”.
Le piccole oscillazioni intorno a questi macro numeri sono quelle
che determinano il raggiungimento o no del quorum (ove esiste) e la
vittoria di qualcuno.
Abramo Lincoln aveva già capito ciò che la moderna statistica riesce ad
esplorare con grande dettaglio: in democrazia, qualsiasi cosa si dica,
un terzo dell'opinione pubblica sarà contrario: 1/3.
La legislazione sui referendum solitamente ignora il volere di chi non
va a votare salvo nel caso dei referendum con quorum nei quali il non
andare a votare assume un certo valore. Questa prassi, dettata da
ragioni di carattere pratico, comunque crea il problema che chi non va
a votare fa parte della cittadinanza e ha delle posizioni che devono
essere conosciute e rispettate altrimenti si ha un'onda di opposizione
alla scelta che verrà fatta.
Dal punto di vista di “cosa dice” chi non va a votare il discorso
sarebbe complesso ma si può ragionevolmente semplificare al fatto che,
dato che i referendum nascono solitamente per spingere dei cambiamenti,
chi non va a votare, o è fautore di lasciare le cose come sono o,
quanto meno, non è particolarmente entusiasta di cambiarle. Per cui il
“non voto” somiglia di più ad un “non cambiamo” che ad un “cambiamo”.
Con queste osservazioni, se guardiamo gli esiti dei referendum degli
ultimi anni: gli esiti spesso si ribaltano!
Con 1/3 di “non voti”, dire che il 55% ha votato in un modo vuol solo
dire che il 1/3 dei contrari di Lincoln è presente, cosa che sapevamo
già senza fare il referendum. La microscopica minoranza che fa la
differenza vincolerà l'intero paese al suo volere.
Nelle retrovie resta il 1/3 di non voti che andrebbero associati – se
non tutti in buona misura – a quelle del “non cambiamo” dando vittorie
possenti a chi di solito perde. Del resto è logico: vanno a votare
prevalentemente quelli che hanno voluto il referendum; non gli altri.
Che durata ha la decisione presa?
Un tema mai discusso è che durata deve avere la decisione presa con un
referendum. Dopo quanto tempo e con che mezzi può essere legittimamente
presa una decisione diversa dall'indicazione referendaria?
Cambiare idea è, in generale, legittimo. In particolare, in un mondo
che cambia rapidamente, le esigenze cambiano con rapidità impetuosa.
Ognuno può rendersi conto di quante cose oggi considera ottime idee che
solo poco tempo fa considerava deprecabili. Ma non bastano le opinioni
soggettive. La scienza fa progressi rapidissimi che ci portano
continuamente a capire oggettivamente che erano sbagliate cose che solo
ieri ci sembravano corrette. Le invenzioni che derivano dai progressi
della scienza scombinano continuamente le opportunità che abbiamo
davanti e le modalità per sfruttarle. Abbiamo sempre più bisogno di
estrema elasticità.
E in questo contesto ingessiamo il mondo con referendum dalla scadenza
ignota. Nelle elezioni politiche il cambiamento è stato considerato dal
legislatore con rinnovi di 4-5 anni. Ma nel referendum cosa facciamo?
Ha senso continuare a doversi attenere a decisioni prese anni fa e
ormai arcaiche? O magari da gente già morta da tempo?
Chi vince, vince?
Tutte le volte che si parla di democrazia si atterra irrimediabilmente
sul concetto “la maggioranza vince”.
Che differenza da quando a scuola studiavo la nascita delle prime
democrazie che originariamente significavano “governo del popolo”. Io
avevo capito che le istituzioni dovevano soddisfare le esigenze di
tutti i cittadini. Si vede che non ero attento...
Siamo d'accordo sul fatto che, in certi ambiti, per ragioni di
carattere pratico occorre una scelta unica anche se non condivisa. Per
esempio non so immaginare come si potrebbe permettere di guidare a
destra oppure a sinistra in base alle preferenze personali... Però, le
istituzioni che tutti paghiamo devono fare il possibile per soddisfare
tutte le esigenze di tutti i cittadini, non solo quelle di alcuni
neanche se “alcuni” sono la maggioranza. Tanto più quando è una
maggioranza virtuale fatta di un uso erroneo dello strumento statistico.
Il numero di contrari, magari sommato di una bella fetta dei non
votanti, esprime il numero di persone che saboterà chi vince che
quindi non raggiungerà gli obiettivi che dice. Per avere successo
occorre sviluppare consenso, non illudersi di trovare chi comanda
confidando in un'obbedienza che non ci sarà mai.
Liquidando come scontato che “la maggioranza vince” ecco cosa succede.
L'esito del voto è inficiato dalla questione generale della
“rappresentatività statistica del voto”. Su questo si innesta una
campagna elettorale che magari ottiene di spostare i voti dove vuole ma
non di cambiare le idee alle persone. Conseguenza, l'esito del voto non
c'entra nulla con ciò che la gente desidera con la complicazione che
essendo guidato da una minoranza “de facto” la maggioranza sarà ostile
alle conseguenze del voto inficiando qualsiasi possibilità di successo
di quanto verrà fatto.
Chissà se questo spiega le conseguenze di molti referendum passati...
Quanti lo chiedono. Chi va a votare?
Il meccanismo referendario ha la caratteristica di essere innescato da
minoranze estremamente esigue. Qualche centinaio di migliaia di firme
su decine di milioni di aventi diritto al voto o poche azioni politiche.
Ne consegue un errore sistematico del dato dovuto al fatto che alla
vasta maggioranza dei votanti semplicemente non ne importa nulla della
questione e non ha alcuna intenzione di perdere tempo a documentarsi su
una cosa che interessa solo ad una esigua minoranza. Andranno a votare
per lo più quelli che hanno richiesto il referendum sbilanciando il
risultato e togliendogli qualsiasi valore significativo.
A volte il problema viene liquidato che chi non va a votare non può
farsi ragioni. Ma non è vero. Ritenere che un voto non abbia ragione di
esistere è una posizione che ha la stessa dignità di tutte le altre e
deve essere considerata correttamente nei dati.
Se il referendum servisse per sapere cosa vuole la gente...
Se il referendum fosse democratico, servirebbe per rilevare cosa vuole
la popolazione. Per cui sarebbe sviluppato col fine di misurare con la
massima precisione possibile l'entità delle diverse opinioni esistenti.
Ma soprattutto, la politica non interverrebbe in alcun modo! Nessun
politico si sognerebbe anche solo di esprimere un'opinione.
Invece scatta la predicazione, lo sforzo indottrinante, la caccia agli
argomenti a sostegno della tesi. L'obiettivo non è sapere cosa vuole la
gente ma convincerla a dire di volere ciò che vuole il politico...
Ergo?
Preso atto di tutto ciò: cosa vuol dire l'esito del referendum? Nulla.
Zero. Niente. Fuffa. Aria fritta. Buttare i dadi.
Continuiamo ad illuderci che cavalcare luoghi comuni arcaici e
difenderli fino alla morte sia il modo corretto per andare avanti. E
restiamo al palo.
Con le conoscenze di oggi la qualità della vita potrebbe aumentare in
modo iperbolico senza neanche fare scelte sconvolgenti. Ma occorre un
po' di coraggio e spirito pionieristico per capire che:
- La realtà è complessa e occorre faticare per capirla;
- Il responsabile dei nostri guai non si vede dalla finestra ma
allo specchio;
- Non troveremo nel passato la soluzione ai problemi de futuro;
- I nostri problemi ce li risolviamo lavorando sodo; non delegando
chissà quale potere a chissà quale fantomatico nostro rappresentante e
nume tutelare;
- Occorre stanare le migliori menti e collocarle dove le loro
conoscenze danno maggiori frutti;
- Occorre smetterla di difendere bandiere e concentrarsi su cercare
la soluzione a problemi;
- Occorre capire che i guai non hanno necessariamente un colpevole.
Solitamente sono questioni del tutto naturali e null'altro che
situazioni da gestire e problemi da risolvere.
Ora mi si potrebbe chiedere: perché passi il tempo ad analizzare cose
simili?
Perché la vita non è infinita e non intendo semplicemente aspettare un
futuro migliore né mi accontento di sognarlo. Voglio fare la mia parte
per ottenerlo abbastanza in fretta da poterne ancora trarre beneficio...
E allora ecco che cerco di fare e di ottenere mettendoci del mio,
coinvolgendo e condividendo il mio entusiasmo per la scienza che
illumina il buio.
Vorrei condividere mille pensieri ed osservazioni ma proverò a
sintetizzare focalizzando l'attenzione su un obiettivo che – per il
metodo con cui è perseguito - è fortemente rappresentativo di tutti.
Aver capito che, di fatto, non si sa bene cosa sia la realtà e che il
libero arbitrio non esiste o, ben che vada, poco ci manca, scardina
tutti i meccanismi su cui sono fondati tutti i sistemi del mondo.
Finalmente stiamo cominciando a capire cosa c'è nelle fondamenta di
tutto ciò che non funziona nei sistemi sociopolitici creati nella
storia dell'umanità.
Il più bell'esempio che conosco dello sforzo di fare un sostanziale
passo in avanti è qui:
http://www.eaglemanlab.net/neurolaw
Il neuroscienziato David Eagleman ha lanciato un progetto che unisce
neuroscienziati, legali e politici per ri-inventare un sistema legale
basato su come siamo fatti invece che su come pensiamo di essere.
Splendido esempio di lavoro di team che unisce esperti delle diverse
discipline con l'obiettivo comune di sviluppare qualcosa che funziona.
E concludo prendendo in prestito un pensiero dal mio amico Paolo.
Un aeroplano è una macchina di una complessità enorme. Per funzionare
occorre che funzioni un grande numero di infrastrutture a loro volta
complicatissime. Nonostante questo gli aeroplani volano regolarmente e
sono il mezzo di trasporto più sicuro del mondo.
Come mai?
Perché la moltitudine di persone che si occupa di ogni singolo
dettaglio ha un obiettivo comune. Fare in modo che gli aerei volino. E
per farlo non corrono dietro a zuffe ideologiche ma ognuno usa al
meglio le migliori conoscenze disponibili nel suo ambito.
Dobbiamo imparare a fare lo stesso con il mondo. Ci toccherà faticare
per imparare, faticare per capire e tribolare nella complessità. Ma se
ci scrolliamo di dosso la logica del Si/No e usiamo al meglio le
migliori conoscenze, allora prenderemo il volo...