Le
Valli son ricche di leggende che in passato si tramandavano oralmente
nelle lunghe veglie serali che nel ‘900 sono state spazzate via dalla
televisione. Così sono sopravvissute quelle che qualcuno aveva raccolto
e – in un certo senso – traslocato dalla tradizione orali ai libri.
Il libro “Leggende e tradizioni popolari delle Valli Valdesi” di Arturo Genre e Oriana Bert,
Claudiana 1977, è uno di questi lavori.
Tra le altre riporta questa leggenda, che per certi versi ricorda la
storia della Monaca di Monza, riferita ad un castello diroccato
tutt’ora visibile.
Alla confluenza della Chamounnha e del Pellice, sulla strada che unisce
Cavour a Osasco e Pinerolo, si trovava un tempo l'importante borgo di
Mombrone, l'ultimo della valle e della contea di Luserna.
Durante una terribile alluvione, i torrenti riuniti distrussero questo
borgo e gli abitanti andarono a fondare, non lontano di lì, verso il
Chisone, Garzigliana. Ma il castello, solidamente costruito su una
piccola altura, resisté al terribile urto delle acque. Altri
avvenimenti ne provocarono la distruzione più tardi.
Ne rimangono delle rovine imponenti, alti lembi di muri vacillanti e
forati da brecce, che verso sera sembrano parlare di violenze senza
nome e di tragedie sanguino e. La fantasia dei contadini della pianura
popola queste sinistre rovine di fantasmi gementi; infatti non vi si
avvicinano quasi mai di giorno, e mai di notte.
Ai tempi del suo splendore, questo castello era abitato da un ramo dei
Rorengo, parenti dei signori di Luserna, che tiranneggiavano le
popolazioni circostanti. Si racconta nella regione che una ragazza
valdese, rapita ai suoi genitori, venisse allevata al castello. I suoi
amabili lineamenti, che i capelli circondavano di un'aureola d'oro, la
sua vivacità sottolineata da una modestia naturale, fecero innamorare
il giovane figlio del castellano, che la volle sposare. Ma il conte e
la contessa si opposero con decisione a questo matrimonio con una
persona di classe sociale inferiore tanto più che la ragazza, benché da
anni non avesse lasciato il castello, conservava intatta nel suo cuore
la fede che aveva ricevuto dai genitori e rifiutava di farsi cattolica,
e non avrebbe fatto nemmeno per essere ornata del diadema di castellana.
II ragazzo conservava il suo amore, diviso fra la paura di dovervi
rinunciare per sempre e la speranza di poter in frangere la decisione
dei suoi genitori o quella della ragazza. La sua passione pareva
accrescersi in proporzione agli ostacoli che vi si opponevano.
Un giorno usci per una partita di caccia; al suo ritorno cercò invano
in tutta la proprietà la bionda ragazza delle Valli, tese invano
l'orecchio per udire la sua voce argentina che cantava i Salmi nella
versione di Marot**.
Infine i genitori gli dissero che era riuscita a evadere, non vista
dalla sentinella, e che aveva certamente raggiunto la sua famiglia.
Da quel giorno il giovane conte non fu più lui. Né caccia, né tornei,
né le distrazioni della capitale lo attiravano: errava come un'anima in
pena nel castello e nelle sue dipendenze, vivendo del ricordo di colei
che un tempo li animava con la sua presenza raggiante.
Dopo qualche tempo, facendo fare non so quali lavori nelle mura del
torrione, un colpo di piccone fece cadere sottile parete di mattoni
dietro la quale scoprì con orrore un cadavere: avvicinandosi, riconobbe
i biondi capelli di seta della ragazza che amava. I suoi genitori
l'avevano murata viva!
II nobile giovane, al pensiero delle sofferenze della ragazza e al
crollo di tutte le sue speranze, rimproverò amaramente ai genitori il
loro delitto, poi si diede la morte sui resti della loro vittima.
I fantasmi dei due amanti si ritrovano di notte fra queste rovine. Ecco
perché gli abitanti dei dintorni non osano avventurarvisi. Pare che la
ragazza appartenesse alla famiglia di mista religione dei Rosso del
Monte Bracco, nella valle del Po.

Una pagina dei Salmi trdotti da Clément Marot (1496-1544), poeta riformato francese, iniziò nel 1533
e diede alle stampe nel 1543 una fortunata versione francese di
Cinquanta primi salmi della Bibbia, che divenne ben presto I'innario
delle comunità protestanti dell'area francese. È quindi naturale che
sia stato usato anche nelle Valli valdesi che avevano strettissimi
contatti. a quell'epoca, con la Riforma d'oltr'alpe.
* Fonte: J. JALLA, Légendes cit., pp. 98-100. II nome moderno della località è Montebruno.
** Una pagina dei Salmi tradotti da Clément Marot