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Miniere e cave Impianti a fune Lavori

Storia delle seggiovie.

Carissimo,

Quando tu sei nato, mia Mamma era una ragazza. Come un po’ tutti a quell’epoca lei faceva vita dura, ma a causa di circostanze un po’ particolari, lei se la cavava particolarmente male.
Con me non si è mai lamentata eccessivamente ma qualche volta si è sfogata. Ha sempre patito tantissimo le grossolane privazioni di libertà che ha subito. Il non potersi concedere quelle soddisfazioni, magari banali, ma non per questo poco importanti, che le avrebbero reso la vita almeno normale, se non bella.
Poi, mentre tu lavoravi, è passato del tempo. È diventata adulta. Un po’ di problemi si sono risolti e qualche volta ha anche potuto, pensa tu, divertirsi!
E lì vi siete conosciuti.
Tu non fai parte di coloro che sanno fare cose incredibili, che si fanno notare, che sono sempre al centro dell’attenzione. Ma di sicuro, tutte le volte che lei era giù, sei riuscito a sollevarla. Quando lei si divertiva c’entravi sempre.
Poi sono arrivato anch’io. Io partivo meglio. Avevo un’infanzia normale. Beh! Non proprio visto l’accidente che ha preso mia Mamma quando avevo tre anni e lei trenta. Ma comunque…
Con te ho passato un mare di anni. Grazie a te mi sono divertito, ho imparato tante cose, ho visto spettacoli bellissimi, ho vissuto le avventure più strane.
Ti ricordi quella primavera che, con Mamma e zio Mario avevamo risalito a piedi il vallone dei 13 laghi? Quando siamo arrivati in punta al Bric Rond ci siamo trovati davanti un mare di ghiaccio. Abbiamo attraversato le piste marmoree con Mario – l’unico che aveva i ramponi - che a fatica scavava tacche nel ghiaccio. Era evidente che chi ci guardava dalla partenza del Bric faceva scommesse su quando saremmo scivolati…
E quella volta che stavo provando i primi ski stopper? Te li ricordi? Erano quegli assurdi “cosi” che dovevi agganciare a mano prima di mettere lo scarpone nell’attacco. Spesso saltavano prima di riuscire a mettere gli sci. E quando funzionavano correttamente non fermavano gran ché gli sci. Ma il guaio scampato per caso è un altro. Quando li agganciavi, lo sci rimaneva libero di andare dove voleva fino a quando non c’era lo scarpone in sede. Difatti… Una volta me ne è scappato uno mentre lo mettevo… Naturalmente è successo vicino all’arrivo della libera e quello che stava arrivando gli è passato a poca distanza… Beh! A volte capita anche di essere fortunati! A lui e a me dico…

Ski Stopper

I diabolici ski stopper "prima maniera"

Ma non è finita. C’è anche quella papera formidabile che ho procurato a Mamma quella volta che davanti a tutti mi sono soffiato il naso sbattendo il tutto per terra… Mamma mi ha sgridato e io ho risposto candidamente: “ma mi hai insegnato tu!”.
Ovviamente lei mi aveva suggerito di farlo in condizioni climatiche un po’ limite come a volte capita sciando, ma io avevo capito come capiscono i bambini!
Dopotutto mi affascini. Nelle tua semplicità e solidità riesci a fare cose per me impensabili. Lavori tantissimo e per tantissimo tempo senza farlo pesare a nessuno. Poi invecchi… Ma a quel punto, quando proprio ti fanno fondere… Riesci a trasformarti in qualcosa d’altro e ricominciare dall’inizio e poi ancora…
Sarai anche solo un traliccio della vecchia seggiovia, ma per me sei stato tanto. Ti sono grato e ti voglio bene… Anche se qualcuno riderà di questo.

Traliccio Marchisio

Traliccio della seggiovia Marchisio.

Tecnologia ed emozioni

Quando nel 2005 gli amici della Beidana mi hanno proposto di scrivere un articolo sulle seggiovie di Prali, prima ancora di chiedermi se ne sarei stato all’altezza, mi è venuto in mente che qualche tempo fa, durante i lavori di demolizione del vecchio impianto di arroccamento, mentre curiosavo fra i lavori in corso, avevo passato un po’ di tempo a guardare un vecchio traliccio. Non c’erano più i cavi, i suoi “vicini” erano già un po’ “giù” Tornato a casa ho scarabocchiato le mie sensazioni. Che adesso ho ripescato…
Scrivere un articolo con un carattere rigorosamente tecnico-scientifico su questo tipo di impianti è difficile per chi li ha vissuti tutta la vita. Dopotutto una seggiovia è costituita da alcune tonnellate di “ferraccio” opportunamente sagomato e distribuito. Eppure contiene ricordi, sensazioni ed emozioni. E siccome non mi riesce di separare questi dalla passione che ho per la scienza e la tecnica, li lascio mischiati. A me va bene così. Spero non sia troppo sgradito al lettore!
Ho dovuto affrontare qualche difficoltà. L’interesse è una bella cosa ma la competenza è un’altra. Avevo già letto delle cose ma dovevo documentarmi meglio. L’ho fatto al meglio delle mie capacità e delle mie possibilità di tempo ben sapendo che chi ha vissuto la storia prima di me e più vicino di me potrà notare errori e omissioni. Chiedo scusa per questo e nel contempo ringrazio le “vittime” dei miei interrogatori che in nessun caso mi hanno negato l’aiuto che ho chiesto loro e lo hanno sempre condito con abbondante simpatia.

Le origini

Gli impianti di Prali come quasi tutte le stazioni scistiche della zona, sono nati negli anni ’50 del '900. Il rapido sviluppo economico stava permettendo alla gente di muoversi e fare tante cose che prima erano impensabili. Si faceva un po’ di tutto dappertutto. Non sempre assennatamente ma di solito con grande entusiasmo. Per raccontare in particolare come si è arrivati alla nascita degli impianti Pralini, credo non si possa far di meglio che cedere la parola a chi ha vissuto quei momenti ed è stato fra gli artefici dell’iniziativa. L’avv. Ettore Serafino ci racconta con un articolo preparato anni fa…
I vecchi soci del CAI ricordano certo Prali e la Val Germanasca come le mete di gite sci alpinistiche (soprattutto a Rocca Bianca): partenza all'alba in taxi, salita o da Villa o da Ghigo (per gli Indiritti), sosta sulla cima di Rocca Bianca, discesa al ponte della Gianna per Colletta Sellard ed il Crouset. Qualche volta in bicicletta fino a Perrero nel pomeriggio del sabato, e poi, sci ai piedi, arrivo a Ghigo a tarda notte, tra il latrar dei cani, a farsi aprire l'Albergo delle Alpi dal buon cav. Grill, e ricoverarsi in una stanza con l'acqua della brocca ghiacciata; il giorno dopo, alla conca dei Tredici Laghi. Nessuno, in inverno, si sognava di aprir la strada, dal fondo terroso e ciottoloso, sgomberandola dalla neve; soprattutto dalla "Gianna" a Ghigo,
I più giovani soci del CAI conoscono invece Prali qual'è ora, la conca popolata di case nuove (non tutte ... belle e gradevolmente inserite nel paesaggio), la rete di impianti di risalita, la strada sempre ben sgombra, il caos festoso dei turisti e sciatori domenicali: trasformazione progressiva, ma in fondo abbastanza recente, perché verificatasi negli ultimi venticinque anni.
Forse val la pena, per la cronaca se non proprio per la storia, raccontar com'è nata la Prali di oggi. Fu nel 1958: un gruppo di amici, e originari della valle, con alcuni residenti, prese a riunirsi nella vecchia fumosa stanza adiacente alla cucina (così era allora) dell'Albergo delle Alpi attorno alla enorme stufa collocata nel bel mezzo del locale per parlare delle possibilità di avviare un programma di sviluppo turistico soprattutto invernale, con la creazione di una stazione di sport invernali. Del comitato promotore alcuni componenti ispezionarono, risalendoli con sci e pelli di foca, i pendii sino al Pian Alpet ed al Bric Rond, immaginarono i tracciati di salita per gli impianti, e gli itinerari per le piste, e, favorevolmente impressionati dalla bellezza della zona, si informarono sui costi di seggiovie e sciovie.
Nessuno disponeva di grandi capitali; ma ognuno era disposto a lavorare alla realizzazione del progetto (allora, a dire il vero, più un sogno che un progetto) solo se i montanari e i valligiani fossero stati al loro fianco, solo se erano d'accordo loro nel voler costruire qualcosa, un qualcosa che a loro soprattutto appartenesse. Come capirlo? Come conoscere quel che gli abitanti di quelle borgate, Villa,Ghigo, Gougn, Indiritti, Malzat, Orgere, Pomieri, Giordan, quasi tutti minatori e contadini, pensavano? e se sarebbero stati disposti a contribuire e quanto, per affrontare almeno le prime spese, quelle della costruzione di una seggiovia? Come svolgere una indagine del genere, superando il comprensibile ostacolo rappresentato dal naturale riserbo dei montanari, che ben potevano non aver piacere di far sapere ad altri ch'eran disposti ad un certo impegno e in qual misura, e poi magari non se ne sarebbe fatto nulla? D'accordo con loro, si convenne di distribuire ad ogni famiglia un modulo (non ricordo il testo esatto) più o meno così redatto: "il sottoscritto si dichiara disposto a concorrere con la somma di £. .... alla costituzione di una società per la costruzione di una seggiovia"; invio del modulo completato in busta chiusa, allo scrivente che, come legale essendo tenuto al segreto professionale, scaduto il termine prefissato, era autorizzato a comunicare al comitato promotore solo il totale degli importi sottoscritti per ricavarne una indicazione di massima, e decidere se continuare o meno lungo il cammino intrapreso. E poiché le risposte piovvero, e furon di tal consistenza da rendere possibile, sia pur col concorso di altri amici, e di alcune aziende della valle, l'avvio dell'iniziativa, nacque poco dopo la Società per Azioni Seggiovie 13 Laghi (circa settanta azionisti eran valligiani); la Seggiovia (primo impianto costruito) il 26 Dicembre del 1959 "girò" per la prima volta, e, come era doveroso, quel giorno l'uso dell'impianto fu riservato alla popolazione di Prali: donne e uomini, anziani e giovani e bambini, credo che non vi sia stato nessuno che non abbia voluto provare la novità di qua viaggio aereo, la così comoda salita attraverso i boschi e più su gli alti pascoli, tante volte faticosamente compiuta a piedi.

Marchisio 1958

In questa immagine tratta da una cartolina datata 1958 si vede la partenza della seggiovia Marchisio durante i lavori di costruzione.

                1: Tralicci in preparazione.
                2: Cavalletto della teleferica di servizio costruita per portare in quota il materiale.
                3: Edificio che ospita i contrappesi.
                4: Puleggia di monte pronta per essere trasportata.

Questa la breve semplice storia della nascita di Prali,stazione di sport invernali e centro turistico, davvero avvenuta quasi spontaneamente, per libera scelta di tutti, in modo esemplarmente democratico: il che fu possibile non tanto per l'impegno e la volontà di pochi, quanto per la serietà e la maturità della popolazione di quella bella valle alpina.

Copertina delle azioni della neonata società e qualche tagliando.


Ricordo un ragazzo di Prali, uno degli addetti alla seggiovia appena assunti: era il primo giorno di apertura al pubblico, una domenica se non mi sbaglio. Da Ghigo alla Seggiovia la strada (allora piuttosto angusta) non era stata aperta, e solo un viottolo si snodava intagliato nella neve. Non c'erano clienti, le seggiole dondolavano pigramente dalla fune ferma. Il ragazzo si era arrampicato sul traliccio, alla partenza, e scrutava verso il paese, come una vedetta protesa dall'albero di una nave cerca all'orizzonte il profilo della terra. Ad un tratto un grido gioioso, in "patois” ripetuto due, tre volte: "è tutto nero ...". Nello stretto passaggio tra la neve si era insinuata e si dirigeva verso la seggiovia, una "colonna" di una quarantina di persone, scese dal primo (e forse unico, in quella giornata) pulmann; e, di lontano, non si distingueva il blu o il rosso delle giacche a vento; sembrava una piccola schiera di formiche, una fila nera... Quella esclamazione ingenuamente festosa, col suo carico di speranza (speranza ch'era di tutti) e di entusiasmo, fu il più bel discorso inaugurale col quale si potesse tenere simbolicamente a battesimo la prima realizzazione concreta tra quelle che dovevano segnare il nuovo"tempo" di vita della valle.

Partenza Marchisio

Partenza della seggiovia come si presentava appena realizzata. Tratta da una cartolina degli anni '60.

Progettazione e Costruzione

Da un punto di vista strettamente operativo, si trattava di decidere dove fare gli impianti, progettarli, finanziarli e realizzarli… Cose da nulla.
Chi quest’anno ha visto montare l’impianto di arroccamento in poco più di tre ore fatica a immaginare che in passato la cosa potesse essere molto più laboriosa.
Come sono stati scelti i luoghi e raccolti i fondi ce lo ha raccontato l’Avv. Serafino. Si trattava di procedere. Come direttore tecnico venne scelto l’ing. Turvani che mi ha raccontato come sono proceduti i lavori. Lui era dipendente della Talco e Grafite che avendo acquisito qualche azione della nascente società “chiudeva un occhio” per le lunghe assenze dell’ingegnere che si dedicava alla seggiovia. Per la realizzazione a scelta cadde sulla ditta Marchisio che in quegli anni era il principale costruttore di impianti del genere. Anche i successivi impianti sarebbero stati realizzati da lei compreso quello della Società Talco e Grafite Val Chisone fatta per il solo trasporto del personale. Il primo progetto prevedeva l’arrivo più in alto di quello che siamo abituati a vedere . Doveva trovarsi qualche centinaio di metri più a monte dove il terreno è più pianeggiante e dove oggi si trova una fontana. Il progettista aveva bocciato l’idea perché l’impianto sarebbe diventato troppo lungo e non compatibile con le normative in vigore all’epoca. Per cui si è arretrato l’arrivo ad una posizione ammissibile costruendo comunque uno degli impianti di quel tipo più lunghi d’Italia.
Tracciato l’impianto, si trattava di portare in quota il materiale necessario e fare i lavori. Cemento e ferro sono tuttora pesantucci... Ma all’epoca non c’erano gli elicotteri e neanche le draghe, i quad od altri mezzi in grado di muoversi agilmente in zone simili. Il mezzo più comodo, del resto ampiamente usato per il trasporto del talco dalle varie miniere della zona alle strade carrozzabili, era la teleferica. I montanari le conoscevano bene non solo per questioni minerarie. In versioni molto semplificate sono sempre state usate per portare carichi giù dalle montagne per cui non era un problema trovare gente pratica nella loro costruzione. Ne venne costruita una parallela al tracciato della seggiovia. Qualche cavalletto era proprio un cavaletto… A volte era un larice maltrattato per l’occasione. Ma in quel modo sono saliti a monte tutti i materiali per la costruzione degli impianti. L’ing Turvani ricorda che ha fatto così tante volte la salita a piedi alla Capannina che l’allenamento gli avrebbe permesso di competere nelle corse in montagna. E così tutti gli altri coinvolti. Il lavoro è stato fatto per quanto possibile “all’artigiana” con i locali che hanno imparato tutto quanto serviva sapere per realizzare l’impianto. Solo per la costruzione vera e propria dell’impianto di arroccamento è intervenuta una ditta specializzata. E così si è arrivati al completamento del primo impianto.
All’inizio l’edificio di arrivo era molto ridotto rispetto a quello che vediamo oggi e non esisteva la terrazza. Non c’erano i battipiste. Fa sorridere pensare a quanto ci si lamenta oggi quando la pista “ha delle gobbe”, la neve fa i grumi, è tutto ghiacciato e non fresano…. All’ora, già non dover salire a forza di muscoli rendeva entusiasti. Forse le comodità moderne – ben vengano! Non vorrei mai tornare a spaccarmi la schiena a fare a mano il lavori che oggi fanno le macchine – ci hanno viziati e impigriti un tantino…
I primi tempi sono stati di solido successo. Anni di buon innevamento, affluenza importante e bilanci in attivo. L’entusiasmo rimaneva alto. Allora tutti gli utili venivano continuamente re investiti in nuovi impianti.
Ma a questo punto appoggiarsi a ditte esterne serviva meno. I dipendenti delle seggiovie avevano imparato a fare quasi tutto. Si era anche arrivati ad impalmare i cavi. Per cui il problema era “solo” progettare e realizzare.
Quando si è costruito il Bric Rond, il problema del trasporto in quota dei pezzi era sempre lo stesso. Fu allora che L’ing Turvani, facendo i calcoli necessari, verificò che era possibile usare l’impianto di arroccamento per portare in quota tutto quanto serviva. Molti storsero il naso di fronte all’iniziativa. Ciò nonostante, negli anni, Bric Rond, Ciatlet e Baby Alpet hanno “preso la seggiovia” e sono andati al loro posto.
Ci sono stati anni di affluenza così intensa che code molto lunghe portavano il malumore fra gli sciatori infreddoliti in attesa. Tanto che dopo averne parlato a lungo si è realizzato il “raddoppio” della seggiovia tanto ambito. Due nuovi skilift: il Gigante prima, e il Salei poi, hanno aumentato la capacità di carico degli impianti e fatto sparire le code.
Ad ottenere questo risultato, purtroppo, ha dato una solida mano anche il clima diventato più avaro di neve.
Ma i tempi stavano cambiando. Il turista è diventato più esigente; la legislazione più rigida; il volontariato più scarso; l’entusiasmo… lasciamo perdere.
Ognuno ha una sua visione delle cose. Certo è che oggi non si può più lavorare “come una volta”. Oggi i lavori possono solo essere svolti da personale specializzato ed autorizzato, il che rende difficile risparmiare ricorrendo a qualche forma di collaborazione più o meno volontaria. Un tempo si poteva imparare ad impalmare una fune. Oggi anche se si fosse capaci a farlo, sarebbe inutile perché per farlo bisogna avere apposite abilitazioni. Il cliente esige di più e non è sgridandolo per le sue pretese che lo si attira in valle. È necessario ri inventare tutto dall’inizio.
Ci sono stati anni di tensioni notevoli. Ognuno aveva la sua da dire ed era convinto di aver ragione e che gli altri fossero la causa di tutto. Così siamo noi umani…
Poi, lentamente, sono affiorate proposte realizzabili. Autorità competenti hanno iniziato a ipotizzare un loro intervento su una organizzazione che fino a quel punto era privata. Fra problemi burocratici ed organizzativi si stava delineando qualcosa di nuovo. Poi, a sorpresa, le olimpiadi. Quando la gestione ordinaria annaspa, uno spintone deciso (vorrei usare un altro termine ma non si addice alla pubblicazione) rappresenta l’occasione buona per mettersi a correre. Così fra difficoltà organizzative, giuridiche e tecniche si è arrivati alla costruzione dei nuovi impianti a Cura della Comunità Montana.
Dopo un bando andato deserto, ne è stato fatto un altro che ha portato ad assegnare alla CCM di Pianezza la costruzione dei nuovi impianti.
Su progettazione dell’ing Colla la CCM ha realizzato gli impianti e ne ha seguito la posa in opera.
Ma quanta gente ci vuole per fare una seggiovia!
Ci vuole un committente. Per farla breve il cittadino che pagando tasse ha messo le varie istituzioni pubbliche coinvolte nelle condizioni di lavorare.
Poi ci vuole chi smantella l’impianto vecchio, il progettista, il costruttore dell’impianto nuovo, chi realizza i basamenti, chi posa in opera, chi trasporta i materiali dalla fabbrica al piazzale e chi li solleva di lì a destinazione, chi fa le linee elettriche e quelle di comunicazione, ci fa le casette della partenza e dell’arrivo e chi fa il resto che mi sono perso…
In molti hanno visto “lo spettacolo” della posa in poche ore dei pali della seggiovia. Meno persone sanno che i pezzi più pesanti delle stazioni di partenza ed arrivo superano i limiti di carico dell’elicottero. Soluzione? Facile! Si prende un robusto camion dotato di pneumatici da fuori strada, catene montate e più ruote motrici possibile. Si mette il carico nel cassone e si sale comodamente per la strada sterrata ricavata lungo la verde… In retromarcia! Si, altrimenti o si slitta o si perde il carico… Non male 700m di dislivello in quel modo!

Rulliera Helog

Una rulliera vola verso la sua destinazione.

Struttura impianto

In mezzo secolo gli impianti funiviari si sono evoluti come tutto ciò che contiene tecnologia. Ma nella sostanza oggi sono simili a quelli vecchi.
Solitamente le seggiovie moderne hanno pali tronco piramidali in lamiera di 6-8mm in luogo dei vecchi tralicci. Non c’è differenza dal punto di vista funzionale. Ce n’è molta da quello costruttivo. Cinquant’anni fa la tecnologia non permetteva di piegare con precisione lamiere delle dimensioni di quelle che servono a fare i pali. E se lo avessero permesso non ci sarebbero stati mezzi per trasportarli interi a destinazione. Molto meglio tralicci fatti di piccoli pezzi montabili sul posto. Viceversa, il dispendio di tempo una volta dava poco fastidio. In parte per la diversa concezione di esso che tutti avevano e in parte per il minor costo orario della manodopera. Oggi il tempo è un fattore determinante del costo, per cui il palo in lamiera diventa più veloce da costruire e anche il mostruoso costo “al minuto” per l’elicottero che li porta a destinazione sono vantaggiosi rispetto al lavorare per tempi lunghissimi con mezzi meno costosi.

Psa Rulliera

Posa di una rulliera.

Oggi si tende a fare pali un po’ più alti le diverse caratteristiche meccaniche permettono distanze diverse. Ma in sostanza i nuovi impianti di Prali sono quasi uguali ai precedenti.
È più visibile la differenza alla partenza ed all’arrivo. Oggi non servono più le “casette” che ospitavano le macchine.
Nel vecchio impianto, presso la stazione di valle c’era un cratere che conteneva in contrappesi preposti a garantire la corretta tensione alla fune. Lo stesso lavoro è fatto oggi da un cilindro idraulico che in piccolo spazio fa la stessa cosa e consente regolazioni più agevoli.
Il fare l’impianto “sci ai piedi” ha voluto dire qualche altra modifica visibile anche se non tecnicamente rilevante. Il senso di rotazione è stato invertito. Il tracciato del Bric Rond spostato e ribassato per permettere di accedervi con gli sci. Quante volte ho sentito prendere in giro quegli impianti perché ci si doveva togliere gli sci per salirci. Non credo che le stesse lamentazioni le facessero coloro che sono saliti il giorno della prima inaugurazione… Siamo un po’ viziati, ma forse non è poi così male. Vuol dire che con tutte le lagnanze che si sentono, tutto sommato si sta abbastanza bene da aver tempo di lamentarsi di problemi veramente piccoli!

La sopravvivenza

Gli impianti sono funzionati di fatto fino a oggi fra alti e bassi.. E qualche volta bassissimi… Però Prali resta fra le poche stazioni sopravvissute di quel tipo e di quegli anni.
Il caso ha voluto una concomitanza di eventi che negli anni ’60 ha favorito il proliferare di stazioni di questo tipo. I dati meteo dell’epoca – più affidabili dei vari “mi ricordo” – fanno notare che c’è stato un periodo di parecchi anni con innevamenti molto abbondanti. Più di quelli che ci sono stati successivamente. Ma anche di quelli precedenti. Cosa che forse non è stata valutata. Le nostre sono le valli più secche delle alpi. Oltre che dai dati meteo, lo si può notare dalla vegetazione arborea. La prevalenza del larice, che si accontenta di alcune centinaia di mm di pioggia all’anno, conferma che la zona è da sempre piuttosto secca mentre, per esempio, nella Carnia, dove prevalgono gli abeti, le pioggie si aggirano attorno ai 2.000 mm all’anno. Quando è finito il periodo ricco di neve è cominciato ad essere più difficile gestire l’economicità degli impianti.
Nel frattempo gli sciatori sono diventati più esigenti e disposti a viaggiare di più e spendere di più per andare nelle grandi stazioni magari meno gradevoli ma più attrezzate a livello “industriale”.
Anche la mentalità è cambiata. Quando si cominciava a viaggiare negli anni ’50 e ’60 andare a qualche diecina di chilometri da casa sembrava di fare chissà cosa. Con la comparsa di viaggi a basso costo ovunque nel mondo e la riduzione, se non la sparizione, delle barriere fra paesi è diventato possibile andare un po’ ovunque per il globo terrestre a costi sostenibili dai più. La moda di viaggiare a tutti i costi ci ha messo del suo e le piccole stazioni turistiche si sono trovate a malpartito.
Come non bastasse noi non siamo propriamente degli “assi” del turismo. Tendiamo a pensare che non abbiamo nulla di turisticamente interessante – e ci comportiamo di conseguenza - mentre ignoriamo gli stranieri che quando passano dalle nostre parti ne restano estasiati e nel prezzo li prendiamo in giro perché “da loro” fanno di qualsiasi stupidaggine una attrazione turistica. Già. Noi invece con molto di più a disposizione facciamo molto meno…

Innevamento

Nell’evoluzione delle strutture sciistiche sono anche apparsi gli impianti di innevamento artificiale. Il primo cannone da neve è apparso sulla pista da fondo per poi passare a quelle da discesa seguito da diversi altri. Sucessivamente all'inagurazione dei nuovi impianti è stato fatto un lavoro più massiccio che ha portato l’innevamento fisso della metà bassa delle piste che è quella che solitamente compromette la sciabilità fino al fondo degli impianti.

Bosco nero

In quel periodo fu anche realizzata la sciovia Bosco Nero che, sul tracciato della antecedente teleferica delle miniere di Envie portava a due belle piste di discesa. Un po’ impegnative come del resto tutte quelle di Prali ma belle. Non ho avuto modo di ricostruire la sua vicenda. Non era parte della Società 13 Laghi. Ed è stata la prima a scomparire in modo definitivo. Al di là delle vicende societarie o economiche, aveva il pregio di partire praticamente dal paese ma l’inconveniente di non essere collegabile agli altri impianti se non attraversando un tratto fortemente valanghifero che non avrebbe potuto essere definito ufficialmente pista. Mi spiace non saperne per il momento di più. Ma ricorderò sempre le magnifiche sciate per quelle piste. Ma a questa malinconia si sovrappone la gioia che mi da vedere la foresta che si sta ri impossessando rapidamente di pendii prima travagliati dalle attività minerarie e poi sbancati per fare le piste.

Il futuro

Cosa capiterà e difficile dirlo. Certamente lo sviluppo futuro sarà diverso da quello passato. Ci siamo abituati, o forse è più giusto dire: non ci siamo abituati a cambiamenti rapidissimi. Questi coinvolgono il mondo intero comprese le realtà locali. Certamente Prali ha ereditato dalle Olimpiadi un generale rinnovo dei suoi impianti e della viabilità, senza l’onere di avere nuove grandi strutture da gestire con tutto ciò che comportano in termini organizzativi e di costo. Forse la marginalità del luogo è stata un privilegio. Starà a tutti noi saper continuare a far crescere ciò che è stato da chi si è dato da fare prima di noi.


In occasione del 50° anniversario del primo viaggio della seggiovia di Prali è stato ri montato un traliccio della vecchia seggiovia Marchisio che era stato conservato all'epoca dello smantellamento del vecchio impianto. Un simpatico ricordo di un'epoca con il suo carico di ricordi di persone, cose e fatti che questo oggetto ci aiuta a non dimenticare.

Traliccio Marchisio 1

Traliccio come è stato disposto alla partenza degli impianti di risalita.

Foto: Novembre 2009.

Seggiolini Marchisio

Seggiolini. Notare il seggiolino rosso fatto apposta per il trasporto del bambino.

Foto: Novembre 2009.

Questo testo è una rielaborazione di quello che ho preparato per la Beidana n°54 del 2005.



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