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Ercole Ridoni - La grafite

Nota fin dalla preistoria come pigmento, la grafite è presente in numerosi giacimenti europei (tra i quali ricordiamo quelli in Boemia, Moravia, Stiria ed in Baviera), nonché negli Stati Uniti, Canada, Messico, Corea, Ceylon e Madagascar. In Italia è stata estratta in Piemonte, Liguria e Calabria. Anticamente, dato che la grafite lascia traccia sulla ceramica e sulle pergamene, si riteneva che essa contenesse piombo, e quindi per lungo tempo venne chiamata “plumbago” nei paesi anglosassoni e “piombaggine” in Italia. Solo verso la fine del XVIII secolo venne riconosciuto con certezza che la grafite non contiene piombo ed è invece formata da carbonio, del quale costituisce, insieme al diamante, uno dei possibili stati allotropici.

La grafite del Pinerolese si presenta come un minerale scuro, di lucentezza metallica e molto tenero (durezza 0.5-1 della scala di Mohs, quindi persino più tenero del talco); contiene dal 30 al 75% di carbonio, mentre in altri giacimenti si arriva all’82% (Boemia), 87% (Messico), 99% (Ceylon).

In realtà le grafiti si presentano in una grande varietà di aspetti, anche molto diversi fra loro. Si può dire che da ogni miniera si estrae minerale con caratteristiche diverse dalle altre. Le grafiti sono comunque classificate in due forme principali: cristalline ed amorfe. Le prime si presentano come aggregati laminati o bacillari, od aghiformi radiali, fibrosi, di colore nero o grigio plumbeo, molto untuosi (Ceylon) oppure lamellari, scagliose, micacee nere e con lucentezza metallica brillante (Madagascar). Le seconde (fra le quali rientrano le grafiti piemontesi) si presentano invece di aspetto terroso, friabile, di colore nero, untuose al tatto, oppure in aggregati compatti, con lucentezza semi-metallica.
Le diversità fra i due tipi di grafiti derivano dalla loro diversa origine; le grafiti cristalline si sono formate per separazione del carbonio da masse magmatiche, con un processo analogo a quello che, su scala microscopica, porta alla separazione di grafite nella ghisa.
 
Le grafiti amorfe hanno invece un’origine organica e si sono formate in seguito al riscaldamento di masse di antracite, cioè di masse di carbon fossile, nato dalla trasformazione di masse vegetali, depositatesi fra strati di gneiss.

Nel Pinerolese la zona grafitosa inizia dai dintorni di Saluzzo, passa per Sanfront e Paesana in Val Po, rimonta e Nord-Est verso Barge e da qui, sempre in direzione Nord-Est prosegue fino a Bricherasio (dove affiora in striscia sottile) per poi arrivare in Val Chisone sino a Roure, all’incirca a metà strada fra Perosa Argentina e Fenestrelle. Da qui, assottigliandosi, piega in direzione Est e poi Sud-Est verso Giaveno e Cumiana, riducendosi fino a sparire.
L’origine organica e sedimentaria di questi filoni grafitici è comprovata dalla loro concordanza con gli strati degli gneiss tra i quali giacciono e dalla loro continuità con i filoni di antracite che affiorano in Liguria e Valle d’Aosta, che hanno direzione analoga. Inoltre, anche nella grafite del Pinerolese si trovano piccoli nuclei di antracite scarsamente grafitizzata, superstiti dei precedenti banchi antracitici.

Le miniere più importanti (oggi tutte abbandonate) si trovano a quote comprese tra 600 e 1.000 metri di quota, quindi più in basso rispetto agli impianti per l’estrazione del talco. Ciò ha semplificato molto la coltivazione di tali giacimenti, permettendo anche condizioni di vita e lavoro meno gravose e meno rischiose per i minatori: non vi erano disagi e rischi legati alle nevicate invernali, i minatori potevano giornalmente tornare a casa senza dover affrontare marce sfiancanti, gallerie e baracche erano servite dalla corrente elettrica.


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