Nella
toponomastica e nei racconti popolari ricorre spesso il termine “
la
véllho” (la vecchia) che trae le sue origini da antiche
leggende che ci facciamo spiegare da Teofilo G.Pons nel suo libro
“Vita montanara e folklore nelle Valli Valdesi” - Claudiana 1992.
Una interpretazione poetica e fantastica creata dalle passate
generazioni per giustificare qualche racconto e spiegare qualche
proverbio è stata quella di farli risalire ad un’epoca remota: quella
in cui viveva
la véllho, la vecchia per antonomasia, la
mitica vecchia che in un certo senso sembra voler rappresentare una
felice età del passato, «l'età dell'oro» della regione alpina, il
perduto paradiso terrestre dei testi biblici.
Si dovrà perciò far risalire pure a quell' epoca fortunata l'esistenza
di un'erba profumata e ricca di proprietà lattifere a tal punto che
obbligava i pastori dell'epoca a mungere tre volte al giorno le loro
greggi, che si nutrivano di quell'erba meravigliosa: erba che un
giorno, secondo un racconto locale, e per punire l'impazienza d'una
donna, fu tramutata in quella che oggi ancora, in val Germanasca, è
chiamata
èrbo d'la vellho, la «
Cetraria
islandica» o lichene che dir si voglia.
In quegli anni lontani, grazie alla straordinaria abbondanza dei
prodotti della terra, gli uomini vivevano nel più felice benessere:
poiché dove oggi la neve e il ghiaccio coprono per gran parte dell'anno
belle zone pascolative alpine, nella fortunata età dell'oro che varie
leggende ricordano avere allietato anche le nostre Valli, un'erba
prodigiosamente precoce copriva tali zone situate al di sopra dei 2.000
metri.
Come la testata del vallone di Massello, dalla cascata al colle omonimo
(m. 2.600), zona a lieve pendenza dove, secondo un detto locale
riferito all'epoca della mitica «vecchia»,
a I'Anunsiâ, l'èrbo lei fai la
pià,
cioè, all'Annunziata, il25 marzo, l'erba vi è alta tanto da lasciare
ben visibili le impronte del piede; mentre oggi la neve vi regna
sovrana fino alla fine del mese di maggio: perché non c'è più la
«vecchia», o la fata del colle del Pis, che ogni sera filava la sua
conocchia di lana.
Un altro proverbio riferibile alla stessa epoca felice dell'età
dell'oro ci assicura che:
cant lâ fantina èrën ancâ
përqui, lâ jalina miniavën dint d'eicuèla d'or e dë plat d'argënt,
cioè, all'epoca delle fate persino le galline mangiavano in piatti
d'oro e d'argento; anziché in recipienti rusticamente scavati nel legno
o nella pietra, come oggigiorno.
Sempre alla medesima vecchia più volte centenaria i montanari della val
Germanasca attribuivano con poetica fantasia quell'altro proverbio che
dice:
abriël, abriëlouns,
de sënt n'ai pâ vît un dë boun
(aprile, aprilone, di cento non ne ho visto uno di buono),
a giustificare il fatto che il mese di aprile è notoriamente piovoso e
che, di conseguenza, sono assai rari gli anni in cui il mese è
soleggiato, secondo quanto ha potuto constatare
la véllho
del colle del Pis.
Furono poi l'orgoglio e la cattiveria degli uomini che finirono per
attirare su di loro la punizione il castigo, che modificarono
l'andamento e l'avvicendamento delle stagioni, trasformando quindi, qua
e là, i più bei pascoli in zone sterili e detritiche.
Di quel mitico personaggio che era
la véllho, la vecchia,
invece dell'astratto «vecchiaia». per significare esperienza della
vita, conoscenza delle cose degli uomini, sono rimaste alcune altre
tracce nella toponomastica valligiana e nel folklore montanaro.
- Cosi ricordiamo lou bric dâ sère d' la véllho,
sulla strada che dalla Balma conduce all'alpe di Rodoretto, quando i
fianchi della montagna, a nord di Rodoretto, a quanto si raccontava
nelle veglie familiari, erano molto più fittamente popolati, nelle
parti più alte ricoperti da magnifiche foreste.
- Il pont d'la véllho sulla Germanasca, a valle di
Perrero, che collega il vecchio borgo con il vallone di Faetto.
- Nell'alta valle, si usava rinviare il più a lungo possibile il
primo viaggio dei ragazzi dal villaggio natìo a Perrero; capoluogo
della valle, in occasione della fiera, della vendemmia ecc., dicendo
loro che, per entrare la prima volta nel vecchio borgo, erano tenuti a bijâ
lou cuël a la véllho (baciare il deretano alla vecchia) che
abitava, si diceva, in una anfrattuosità della roccia sovrastante la
strada, 200 m. circa prima del vecchio ponte di Rabiour.
Così il viaggio veniva ritardato di qualche anno, fino a quando i
ragazzi non credevano più alla favola ... ed erano cresciuti abbastanza
per essere in grado di fare agevolmente il viaggio di andata e ritorno.
Una usanza simile esisteva anche nel vicino Queyras. Ma sembra che «la
vecchia», al di là delle Alpi, fosse meno esigente e dispettosa: le
bastava che il ragazzetto la salutasse, togliendosi il berretto.
^ Torna all'inizio