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Il
nome ha qualcosa di amarico come Selassié, ma chi non è stato a
Sapatlè, una terrazza incantata a 2000 metri sul costone che da
Rocca Bianca porta al Cappel d'Envie e ai Tredici Laghi, non ha
conosciuto una delle località più suggestive dei nostri monti.
Forse i primi a gustarla turisticamente siamo stati l'Avv. Enrico
Zola ed io durante i nostri vagabondaggi alpini che duravano un mese,
un mese di scarponate in libertà come i versi di Marinetti, pipa in
bocca, carte da scopone e la Divina Commedia e Così parlò
Zaratustra nelle ampie tasche dei calzoni alla zuava duramente
provati nelle discese vertiginose del Cournour e del Ghinivert.
La
signorilità squisita di Villa (1) e di
Sartorio (2)
ci
permetteva
l'uso d'una graziosa villetta in prossimità delle cave e del
baraccamento per i minatori. Una stradina pianeggiante fra declivi
erbosi e macchie rosse di rododendri, da Rocca Bianca al lago
d'Envie, ci apriva ad ogni svolta paesaggi di sogno.
Sapatlé
nel 1918. Baraccamenti e ricoveri delle società Talco e Grafite Val
Chisone.
Tratto da: Il talco - Ercole
Ridoni - 1918
Enrico
Zola nel 1940.
Ho
qui fotografato Enrico Zola dentro il carrello della teleferica
Colletta Sellar – Malzas, pare esclusivamente simbolica in quanto il
trasporto di persone era severamente vietato.
Foto e commenti di Piero Sartorio.
Davanti
a noi la Vergia con quei ripidi canaloni verdastri che scendevano
sopra Ghigo come vertebre di balena, poi il Passo della Scodella, un
piccolo ponte di pietra sottile e pericolante tra la Vergia e la
cresta sovrastante il Colle della Longia, e laggiù il Frappié, il
Gran Queirol e la cresta di confine azzurra ed aerea.
Alla
nostra sinistra il bosco nero di veri pini (3), molti dei
quali, come
racconta un viaggiatore inglese del settecento, con grosse barbe
biondastre a mezzo fusto, culminante con la sagoma spavalda del
Cappel d'Envie, un elmo di granito giallo-rosso messo a sghimbescio
sulla testa di un armigero sborniato. In basso Bouc du Col con una
cascatella che sbandierava un sottile velo d'acqua iridescente, il
regno incontrastato di Giuspin el busiard
(4),
un baffuto
berger ospitale e buffone.
Ma
a Sapatlè la vita ferveva, benché non si sentisse un rumore, una
voce od un suono, salvo ogni tanto il fruscio del vento fra i larici
nani e il grido rauco di un'aquila. La vita era sotto di noi, a una
decina di metri di profondità, dove, in un labirinto dedaleo di
piccole gallerie, uomini rudi e taciturni, tutti alpigiani della
valle, scavavano incessantemente per estrarre il prezioso minerale
bianco.
Sapatlé
nel 1918. Interno delle miniere della ditta "Erede di GiuseppeTron".
Cantiere di scavo.
Tratto da: Il talco - Ercole
Ridoni - 1918
Ed anche dentro le gallerie nessun rumore come se si fosse entrati in un mondo d'ovatta. Anche il carrello della decauville ci frusciava accanto in silenzio. Anche l'acqua che sgorgava da qualche crepa nelle pareti bianche scivolava via senza suono quasi paurosa di disturbare il sonno di qualche fata. La luce ad acetilene per contro dava risalto violento alle sagome nere degli uomini che coi picconi facevano cadere il talco in blocchi lucenti, farinosi.
Fontana all'interno della miniera Malaura nel 2006
C'era
un vecchio che lavorava alla cava da cinquant'anni ed era l'unico che
dormisse nel baraccamento, perché gli altri tutte le sere scendevano
a valle, a Ghigo, a Praly, a Riba e Pomieri e qualcuno doveva
risalire sui fianchi del monte opposto a Rodoretto o a Salza di
Perrero. Aveva un volto largo e rosso incorniciato d'argento e lunghi
baffoni biancastri. La sua figura tarchiata copriva tutta la nicchia
bianca nella quale era inginocchiato. Era qualcosa d'irreale, come
un'apparizione fantastica. Eolo nella grotta dei venti o Vulcano
nella sua fucina sotterranea o meglio il Santo della miniera.
Ma
era un Santo vivo. Alla sera, quando gli offrimmo una bottiglia nella
piccola stanza del baraccamento, dimostrò di possedere delle virtù
bacchiche di primo ordine. Zola s'affrettò ad ordinarne altre due.
Le due villette erano ormai immerse nell'ombra azzurra. In tutta la
conca di Ghigo e sui fianchi dei monti diventati neri come lavagne
non una luce. Solo, appesi alla volta turchina, i candelabri delle
stelle. E il vecchio beveva con occhi luccicanti.
Poi
raccontò a piccole frasi, mentre riempiva la pipa e vuotava il
bicchiere, la storia della sua vita, che era anche un poco la storia
della miniera di talco. Aveva quindici anni quando incominciò a
lavorare. Prima tutti emigravano in Francia durante l'inverno perché
la valle non aveva risorse. La strada da Perrero a Ghigo consisteva
solo in una mulattiera sassosa che seguiva il corso del torrente.
Allora gli impianti erano rudimentali. Si portava a valle il minerale
su grossi slittoni fabbricati nella valle. Qualche volta le travature
della galleria cedevano, ma non vi erano state vittime come al Beth
nel 1894.
—
Ma a l'ero 'd Genoveis (5) —
ci disse con sussiego.
—
Sa l'aveiso avula Prever e Villa, la miniera a saria ancora 'n
pè
(6). —
Il vecchio minatore alludeva alla terribile valanga che
travolse novanta minatori, troncando d'un colpo l'estrazione del
rame, di cui è ricca la testata della Val Troncea. Naturalmente
neppure Prever e Villa, i pionieri dell'estrazione del talco nelle
nostre valli, non sarebbero riusciti a frenare l'impeto della furia
bianca, ma la frase del vecchio ci rivelò un segreto dei capi della
Val Chisone. Essi sapevano trattare l'elemento uomo e se lo
affezionavano con grande vantaggio per la produzione. [n.d.r. E forse
la stima che quell'uomo aveva non era solo un'emozione personale ma
corrispondeva ad una loro un'effettiva capacità visti i commenti di
Piero Sartorio su Malzas]
—
Prever a l'era un po' tira e a parlava poc ma a l'era n'om an
gamba (7).
Quando
parlava di Villa si animava in volto.
—
Am bat sempre 'n sle spale e am regala 'd toscane. Col a l'è
n'om
(8).
Mi
venne alla mente un vecchio di Ceresole Reale, che incontrai durante
una traversata. Aveva novantanni ed era stato porteur di tre re. Ma
solo Vittorio Emanuele II per lui era un re.
—
A mangiava la polenta ansema a noi e am regalava 'd toscan.
Col a
l'era un re! (9)
Vittorio
Emanuele II Torino, 14 marzo 1820 – Roma, 9 gennaio 1878.
Fonte: web
È
la grande logica dei semplici, ma chi, sia esso un re o un
condottiero d'industria, sa trattare coi semplici, ottiene delle
dedizioni per la vita.
Villa
possedeva questo grande segreto. Veniva, come si suol dire, dalla
gavetta. Le sue mani erano nodose e piene di calli. Era alto come un
artigliere di montagna e aveva forti mascelle volitive. Seppe
conferire piena fiducia ai suoi più diretti collaboratori,
soprattutto il Rag. Sartorio, e sotto il suo impulso la Val Chisone
si affermò nel mondo, esportando la finissima polvere bianca ovunque
e creando industrie come la fabbrica
di elettrodi.
Elettrodi
di grafite per forni elettrici.
Tratto da: L'Illustrazione Italiana del 28 febbraio 1926
Durante
la serata bacchica, mentre l'oste russava beatamente, sfilarono tutti
gli uomini rappresentativi della Val Chisone.
Il
vecchio li giudicava tutti come un Minosse bonario senza avvinghiarli
con la coda come il Minosse dantesco. Del Grand'Uff. Sartorio diceva
che era ne sgnor ca la savia lunga (10),
del geom. Bauducco
che sapeva anche usare il piccone, — Col sacherdisna grand e
gross come 'n cioché, ai riva a tut (11),
— per il geom. Rosia
aveva una simpatia speciale, perché — a l'è n'alpin e quaì
volte a l'à beivù con mi. E poi a l'è Canavesan e i Canavesan a
dan ed punt a tuti i minator del mond (12).
Quando
uscimmo dalla stanza affumicata, sul tavolo vi erano cinque bottiglie
vuote e i bicchieri avevano lasciato le loro impronte digitali
consistenti in tanti cerchi rossi e sottili. Ma il vecchio ci aveva
giudicati. Avevamo bevuto bene. Eravamo dei bravi fioi (13)!
Note.
Nelle
note sotto, oltre a indicare le traduzioni, tento di indentificare
meglio alcuni dei personaggi citati con il solo cognome. Il libro è
stato pubblicato nel 1957 ma è una raccolta di articoli pubblicati
in precendenza.
Era
un fatto comune che più generazioni lavorassero nella
società. In tutti tre i casi citati è dubbio che si tratti del
padre o del figlio. Scoprendo l'anno esatto in cui si sono verificati
i fatti descritti si potrebbe essere più certi. Ho indicato i nomi
che mi sembrano più probabili in base alle descrizioni ferme
restando le dovute incertezze.
La
toponomastica contiene varie differenze di scrittura rispetto a quella
oggi usata che non so se siano dovute ad errori o usi diversi di
quegli anni. Le ho lasciate come nell'originale.
(1) Dovrebbe trattarsi di Pietro Villa. Torna
al testo.
(2) Dovrebbe trattarsi di Damiano
Sartorio.
Torna
al testo.
(3) In effetti si tratta di abeti
bianchi – Picea excelsa.
Torna
al testo.
(4) Giuseppino il bugiardo.
Torna
al testo.
(5) Ma erano dei genovesi.
Torna
al testo.
(6) Se avessero avuto Prever e Villa la
miniera sarebbe ancora in piedi.
Torna
al testo.
(7) Prever era un po' tirato e parlava
poco ma era un uomo in gamba. Potrebbe trattarsi o di Giovanni o di
Arturo Prever..
Torna
al testo.
(8) Mi dà sempre pacche sulle spalle e
mi regala dei toscani. Quello è un uomo!
Torna
al testo.
(9) Mangiava la polenta insieme a noi e
mi regalava dei toscani. Quello era un re!
Torna
al testo.
(10) Un signore che la sapeva lunga.
Torna
al testo.
(11) Quell'accidenti grande e grosso
come un campanile arriva a tutto.
Torna
al testo.
(12) è un alpino e qualche volta ha
bevuto con me. E poi è un canavesano e i canavesani danno punti a tutti
i minatori del mondo.
Torna
al testo.
(13) Bravi ragazzi.
Torna
al testo.